La verità sui numeri dei Blogger e degli Influencer

La verità sui numeri dei Blogger e degli Influencer

Come si misura davvero l’importanza di un blogger e di un influencer? E come ci si avventura in un mercato dove comprare i follwer non è solo facile ma anche poco costoso? Tre esperti del settore parlano di dati, ricerche e analisi serie e senza trucchi. E profilano un fatto ancora più importante: l’avvento dei nuovi protagonisti della rete nasconde la nascita di un nuova tendenza, l’era “People”.

 

Il 29 settembre 2009, per alcuni, è stato l’inizio della fine. Per altri, l’inizio di una nuova epoca. In quella data e per la prima volta Dolce&Gabbana decisero di mettere in prima fila i blogger, infrangendo la regola ferrea del lento, inesorabile avanzamento professionale dei giornalisti di settore, dalla mitica fila S settore T (ST sta per standing, ovvero posto in piedi) all’anelato front-row. In una stagione, come succede nei peggiori film da domenica pomeriggio, i nuovi protagonisti dell’informazione di moda si trovarono dalla solitudine dei propri blog all’occhio di bue dei riflettori.

GIORNALISTI CONTRO BLOGGER: GLI ATTACCHI CONTINUANO
Sono passati sette anni, il mondo dell’informazione e della comunicazione cambiano ancora più in fretta di allora ma la polemica non si placa. Nonostante i blogger siano diventati influencer e il loro potere sia cresciuto oltre le aspettative di chi li denigrava, nell’ultima tornata di sfilate tre giornaliste del network di Vogue America si sono di nuovo scagliate contro di loro mostrando però, è il caso di dirlo, un fianco debole, molto debole. Il conflitto di interessi con la pubblicità, per esempio, imputato ai nuovi arrivati, è lo stesso che attanaglia da sempre il settore della carta stampata di settore. E giornali, siti e quotidiani dedicati alla moda sono stati i primi a utilizzare le foto di streetstyle degli influencer per arricchire i propri contenuti editoriali. Cosa, quindi, è davvero cambiato dal 2009 al 2016?

IL FATTORE DEI DATI: COME SI MISURA UN INFLUENCER IN RETE E SUI SOCIAL
“Fino a qualche anno fa, un brand di moda sceglieva un blogger in base alla sua bellezza, alla sua simpatia, diciamo con criteri molto personali”, racconta Paola Nannelli di Blogmeter, agenzia di social media intelligence. “Oggi, al contrario, i criteri di scelta sono più analitici e si basano su dati certificati. Non si tiene conto, per esempio, soltanto dei follower acquisiti ma della capacità di coinvolgere i propri (engagement) con commenti e like, delle performance nel guadagnare nuovi follower in un determinato periodo, di quanti utenti unici interagiscono davvero sui loro profili social e anche dalla qualità e quantità di post prodotti. A queste analisi, raggruppate in un grafico, si aggiunge il lavoro di un linguista che associa a loro, come a ogni altro brand, un insieme di parole chiave in grado di rintracciare in rete, su blog, su forum e siti il loro reale impatto positivo o negativo. È un lavoro lungo ma scientifico: non si possono truccare i numeri. Infatti le agenzie di data analytics sono oggi un fattore chiave per chi si occupa di comunicazione, pr e marketing nel fashion system”.

IL PROBLEMA DI CHI ACQUISTA FOLLOWER FASULLI
Resta però un’annosa questione: sui profili social, primo tra tutti Instagram, è possibile acquistare migliaia di follower finti ma anche commenti e like relativi. Come si può distinguere, quindi, chi ha veri numeri da chi li trucca? “Il problema, che continua a esistere, va visto da un’altra prospettiva”, continua Nannelli, “dalle nostra analisi, infatti, risulta evidente che ha improvvisi aumenti di follower o picchi improvvisi di commenti sui social o in rete. Queste variazioni improvvise sono la testimonianza di un trucco, di una manipolazione della verità”. Non solo: sono le stesse piattaforme social a proteggersi dal rischio compravendita di follower. “Ogni sei mesi circa”, racconta Jarvis Macchi, head of digital di Pinko e una lunga carriera alle spalle in questo settore, “Instagram e gli altri social aggiornano il proprio algoritmo. Questa procedura azzera i follower finti e rende giustizia a chi ne ha invece di veri. Mentire, quindi, diventa sempre più difficile”.

INFLUENCER: INFORMATORI O PAGINE PUBBLICITARIE VIVENTI?
Un’altra questione spinosa di blogger e influencer è il loro essere puri prodotti commerciali, dediti più alla pubblicità che all’informazione. Ogni loro posto è pubblicato dietro un compenso con tanto di tabella corredata di tariffe specifiche. E la loro indipendenza, sbandierata da tutti, nasconderebbe in realtà soltanto un business. “Anche in questo caso occorre fare un distinguo”, racconta Marco Marranini, responsabile dello sviluppo del business di openinfluence.com, agenzia multinazionale con sede anche a Milano. “In molti, brand compresi, scambiano l’influencer per una pagina pubblicitaria bianca su cui ci si può scrivere quello che si vuole. Non c’è nulla di più sbagliato: la collaborazione con uno di questi professionisti funziona solo e soltanto se è autentica, se viene mediata dalla peculiarità dell’influencer. Chi naviga in rete è abbastanza preparato da capire le forzature. Una certa dose di autorevolezza e di indipendenza sono quindi fondamentali per la riuscita di ogni operazione marchio-influencer”.

IL FUTURO DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE: INIZIA L’ERA “PEOPLE”
Dietro le guerre di settore, le invettive sui social e i post a pagamento, però, si sta profilando un fattore molto più interessante. L’ascesa di blogger e influencer, infatti, nasconde una tendenza che sta cambiando profondamente il mondo della comunicazione ma anche quello dell’informazione. “Stiamo entrando nell’era ‘people’, come viene chiamata da molti”, conclude Macchi. “Un tempo erano i marchi a parlare, con autorevolezza e calando dall’alto del loro posizionamento ogni informazione. Oggi, invece, le persone hanno bisogno di volti e di altre persone come loro che parlino e non più entità distanti come brand o firme. Si è profilata una richiesta di partecipazione in prima persona, ben impersonata per certi versi da blogger e influencer. Il fatto, però, riguarda tutti: giornali tradizionali e maison di moda, largo consumo e persino network come la Nasa. La vera rivoluzione è imparare a raccontarsi in una maniera più personale e umana. È una sorta di nuovo umanesimo dell’informazione, una questione su cui si sta giocando e si giocherà la partita dell’informazione e della comunicazione di domani”.

 

Via: d.repubblica.it

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